Associazione Culturale VARZI VIVA
Oramala
"l'amor cortese"


Le "Corti d'Amore" al castello di Oramala
L'amor cortese - Il "fedele amore" (cenni storici)
Oramala l'amor cortese

Si riapre come anticamente la saracinesca a maglia, azionata dall'arcaico ingranaggio e consente l'ingresso del celebre maniero. L'imponente torre di pietra ha ritrovato la sua integrità, grazie ad un lungo ed accurato restauro. Il più importante tra i castelli oltrepadani, che fu centro culturale al pari delle più raffinate e mondane corti provenzali, aspira ancora oggi ad un simile primato.

Era, fino a quindici anni fa, null'altro che il resto degradato di un glorioso passato. E molti ricordano il pericolante, sconnesso, torrione di Oramala inghiottito dalla vegetazione, come dolente monito di pietre smosse abbandonate dai pubblici poteri. Una delle numerose vedette dell'Oltrepò malaspiniano che lasciava intuire, pur nella totale decadenza, la tipica architettura sommaria e rudimentale di ogni rocca o maniero militare, priva di casseri, e torri merlate, e bertesche, e graziose torrette.
Ora, giungendo da Varzi o da Sant'Alberto, per sinuosi percorsi immersi nei castagneti, all'occhio del visitatore il miracolo sembra essersi avverato.
Davvero senza merlature, in tutta la sua austerità di pietra, la gigantesca torre, come riemersa dalle proprie ceneri, è tornata ad essere guardiana dell'ondulato paesaggio. Fautori dell'evento sono i fratelli Sergio e Luigi Panigazzi che con passione e completa dedizione, stagione dopo stagione, si prodigano per il recupero. Sotto l'assidua sorveglianza degli organi preposti alla tutela dei beni culturali, nulla è stato lasciato al caso, e benché imponenti i restauri risultano minimali, tutti tesi al ripristino del linguaggio originario, del calibrato ritmo disegnativo, del grigio maculato dei selciati e del miele del mattone antico.


I fratelli Panigazzi
(© Antonio Di Tomaso)


Sale e salette, grezze ed essenziali, polverose, sono state ricavate nelle scuderie, nelle prigioni e, su tre piani diversi, nella torre stessa. Ognuna racchiude un richiamo del tempo, un arnese, una foto Alinari, un tavolo, una sedia, una cartina geografica, lo stemma dei Malaspina della linea dello spino fiorito.
Piccole cose di scarso valore in attesa del termine dei lavori quando, forse, potrà realizzarsi il sogno di Panigazzi di trasformare il maestoso complesso in museo malaspiniano nonché in sede per convegni e incontri culturali inerenti il vissuto e il presente della valle Stàffora.
In effetti, i documenti consultati concordano, tutti, nel definire il castello di Oramala "il più importante della valle".
Menzionato per la prima volta nel 1029 ancora sotto gli Obertenghi, fu, nei secoli successivi, corte e dimora prediletta dei Malaspina il cui illustre antenato Obizzo ottenne l'investitura feudale da Federico Barbarossa nel 1164.


Il camino con lo stemma malaspiniano
(© Fiorenzo Debattisti)

E' data per certa, da alcuni, che lo stesso imperatore vi fosse stato ospitato, qualche anno dopo, durante la fuga da Roma a Pavia. Ed è quasi certa e comunque affascinante che qui avesse soggiornato anche Dante, poeta che celebrò l'insigne famiglia.
Tuttavia l'invalicabile costruzione, circondata da tre ordini di mura, di cui oggi restano solo scarse testimonianze, accolse, oltre alle più ovvie controversie strategiche e militari, il bene della poesia, un'eco epica - cavalleresca. Nella seconda metà del XIII secolo, quando ne era signore Alberto Malaspina, stipite dei marchesi di Godiasco e di Oramala, lui stesso poeta, arrivarono, a corte, i più noti cantori provenzali, i trovatori e, vi composero musiche suonando arcaici e struggenti strumenti.
Pare vi abbia sostato Girardo di Bornelh, con le sue rime aspre e sottili e il poeta d'amore Rambaldo di Vaqueiras, dalle parole più dolci e leggiadre.
Oramala, dunque, come le più raffinate e mondane corti provenzali, fu centro culturale in cui, sebbene per pochi eletti, veniva celebrato il "joi", la gioia dell'eleganza, della giovinezza, della cortesia, dell'amore idealizzato.
E, nell'intento dei proprietari, è proprio il ricreare quell'atmosfera, quelle immagini che parevano perdute per sempre.
Per questo si procede a piccoli passi lavorando sodo. Perché il ripristino sia manifestazione di rispetto, messinscena di storia autentica non arrembaggio dissennato.
Intanto è stato riedificato l'ingresso, come in origine con saracinesca a maglia scorrente verticalmente, con tutto il suo ingranaggio manuale e la campanella. E' stata ricostruita integralmente la cappella dedicata a Santa Eufemia benché non restasse traccia alcuna della precedente del 1400 affrescata da Cristoforo Mina da Castelnuovo.


La sala da pranzo con i mobili d'epoca
(© Fiorenzo Debattisti)

La scala interna alla torre ne collega i piani con gradini in pietra ruvida, stretti e diseguali, e conduce alla sommità. Balconata, balaustra sulla valle.
Qui sono evidenti, ancora, i resti di un probabile altro piano, era forse più alto questo mastio, ancora più imponente.
Ma tuttora è sufficientemente sovrastante la campagna, offre un'impareggiabile "punto di vista" a 360° sulle colline ed altri manieri, sulle torri di Varzi, sul borgo di Oramala, su sparuti paesini, su castagni e vigneti, su robinie e maggiociondoli, su arbusti, rovi, rose canine.
Fu, questa posizione privilegiata su uno sperone a 750 metri, determinante per la sua importanza prima e per lo stato di oblio poi. Se la quasi irrangiungibilità e il dominio su tutta la valle avevano contribuito, fino a tutto il XIII secolo, ad eleggere Oramala quale capitale della valle Stàffora per ovvi motivi di strategie, contribuirono, altresì, all'abbandono del castello in epoche successive quando, perduto ogni interesse militare, i proprietari cominciarono a considerare questi possedimenti di scarso reddito, come scrive Fiori nel bel volume "I Malaspina" - posti in posizione montana e disagevole.


Una delle stanze da letto finemente arredata
(© Fiorenzo Debattisti)

Già nel settecento i marchesi di Oramala si erano trasferiti nella nuova villa di Staghiglione decretando così l'inizio del declino del possente maniero.
Da allora subì l'onta di essere utilizzato persino come cava di materiale edilizio e passò da acquirente in acquirente senza mai imbattere nel desiderio e nella disponibilità del recupero. Ma anche questa è storia di ieri.