Associazione Culturale VARZI VIVA
Al Fontanino, al fontanino!
di Graziella Mariani


Nell'aria ancora fresca, si iniziava la salita. La strada ampia svelava tutto il panorama del paese per esteso, un paese pigramente allungato sul declivio della collina di fronte con torri e campanili che ne movimentavano l'insieme.

Tornare a Varzi senza ripetere il rituale della bevuta al "fontanèn ed Burtlö" sarebbe sembrato blasfemo ai due non più giovanissimi ma ancora vigorosi amici. Il rituale giovanile era nato durante le vacanze, sembrava di eseguire una cerimonia esclusiva ed estremamente elitaria: alzarsi presto mentre gli altri dormivano nelle mattine estive, prendere con sé un po' di merenda, uscire di casa con circospezione senza svegliare nessuno, possibilmente non farsi vedere per strada ed avviarsi oltre lo Staffora.
La casa dei nonni era nell'antico borgo, sotto il campanile, nell'esclusiva via Nuova (ora via Papa Giovanni XXIII), centro e passaggio di tutti gli avvenimenti e incontri significativi. La mattina presto c'era ancora silenzio, i due si dirigevano alla torre dell'orologio verso il ponte, unico rumore il battere delle ore dalla torre, qualche canto di gallo in lontananza. qualche passo frettoloso di non si sa chi. Scendevano e risalivano la strada per il ponte (percorso eliminato dall'attuale cavalcavia), lo attraversavano alla luce dell'alba: una luce particolare che scivolando attraverso la vallata bagnava via via le montagne ai lati del torrente, ne svelava le macchie, le cascine sparse, le siepi ai bordi dei sentieri. Lo Staffora mormorava tranquillo scendendo in rivoli dorati alla luce nascente e, come nelle più ingenue poesiole, ascoltavano gioiosamente un dolce cinguettio. Nell'aria ancora fresca, iniziavano la salita. La strada ampia svelava tutto il panorama del paese per esteso, un paese pigramente allungato sul declivio della collina di fronte con torri e campanili che ne movimentavano l'insieme. A quell'ora mattutina da ogni parte lo si guardi Varzi è magico, sembra un paese che possa svanire da un momento all'altro, sembra una visione momentanea di cui si deve godere ogni sensazione prima che scompaia.
Salivano lungo la strada a tornanti, poi ad un certo punto prendevano una scorciatoia, un sentiero un po' più impervio e sassoso ed il paese spariva davvero alla vista per poi segnare la sua presenza con lo scampanio del Duomo che chiamava alle prime funzioni. Ormai erano nel bosco, faceva fresco, il sole non aveva ancora riscaldato l'aria e l'ombra dei castagni ne conservava ancor più il fresco umido della notte. Oltrepassavano, aggirandola, una casa bianca, salivano ancora un po' ed ecco il rumore familiare dell'acqua del fontanino che scorreva sempre, come l'acqua dello Staffora che non smetteva di scendere, come le campane che suonavano sempre allo stesso modo, come il mercato del venerdì, come il fluire del tempo, come lo scorrere inesorabile della vita, come... come... Eccoli arrivati! Prima cosa: lavarsi la faccia e le braccia nell'acqua fredda della vasca, ahhh! ahhh! Secondo, sedersi e mangiare la merenda (un po' di pane già buono così o accompagnato da un cubetto di cotognata o da un frutto).
Terzo: bere quell'acqua a volontà, perché era così leggera che appena bevuto sembrava di poterne ancora bere all'infinito. Si aggiravano un po' per il bosco, salivano fino alla cima del monte senza più scorgere il paese ormai, fiutavano l'aria per seguire le tracce di buoni funghi che, ahimè!, segnalavano la propria presenza con profumi inebrianti, ma riuscivano a non farsi mai vedere. Le ore trascorrevano veloci giocando, chiacchierando, assaporando il silenzio "vissuto" da mille rumori silvestri: fremiti di foglie, passetti misteriosi, scricchiolii di rami e... sempre quelle campane che improvvisamente suonavano il mezzogiorno. Come, di già? Correre giù in fretta, perché a quell'ora la minestra veniva scodellata bella pronta e fumante.Che fame! Un'assenza a tavola mentre suonava il campanone era una delle poche cose che, nell'infinita libertà che concedevano i nonni in quegli anni in un paese praticamente senza pericoli, non perdonavano facilmente. La sgridata era inevitabile. Ma la discesa era veloce. Quando tornavano sulla strada il sole picchiava, l'aria era ferma, l'acqua dello Staffora anziché d'oro feriva per l'insopportabile abbaglio agli occhi ancora assuefatti alla verde ombra del bosco. Bisognava correre, era bello correre. L'appetito aumentava a dismisura e la meta sembrava sempre più lontana. Eccoli alla Chiesa dei Rossi, al duomo, a casa. Strada deserta, rumore di stoviglie, profumo di cibo. Domani al fontanino ci si va ancor prima. Chiamami. Svegliami. Chiamami, svegliami, ma perché? Siamo in vacanza. Ci andremo sì al fontanino, ma con calma, magari in macchina almeno per un po'. No, in macchina no. Voglio vedere il paese che scende mentre io salgo, lo voglio vedere da quella particolare prospettiva, con calma. Voglio ricordare, voglio bere quell'acqua a volontà. Ma sì, sapete già. Il fontanino non c'è più. Non si trova. Gira di qua, gira di là. Non era qui? no, era là! Il rumore non si sente, hai sbagliato strada, hai sbagliato via, hai sbagliato a tornare, hai sbagliato a salire così in fretta. Hai il fiatone, sei tutto sudato, il fontanino non c'è e queste campane sembrano pestate da un campanaro arrabbiato. Ma questo non è un suono, questo è un fracasso infernale. Mi rintronano nel cervello anche se siamo quassù, ma cosa succede? Hanno messo le campane elettriche, suonano senz'anima, meccanicamente, senza modulazione, senza quel tocco ora stanco ora vigoroso, ora festante ed ora mesto, a seconda di chi suonava e della circostanza.
Ah! è tutto diverso! Guarda un po' giù, è sparito il paese. Ma le campane si sentono anche se lontane... Siamo proprio invecchiati, certo che non possiamo avere le stesse sensazioni, siamo noi che siano diversi, non capisci? Si, ma il paese non lo vedo. Avevano sbagliato strada e guardavano da un'altra parte.